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Con la scoperta del lavoro di Patrick Blanc anche in Italia la “moda” del Giardino Verticale è esplosa assieme alla richiesta di rivestire pareti interne e esterne con piante. Posizionata nell’ambito di un nuovo romanticismo volto al recupero della natura selvaggia, il tema dei giardini verticali non risolve semplicemente un problema di spazio né viene scelta per le caratteristiche pur rilevanti di vantaggi ambientali. Si situa infatti nell’ambito del “terzo paesaggio” di Gilles Clement, nello Junkspace di Rem Koolhaas, ovvero laddove la città – nei suoi segmenti abbandonati, i suoi retri, nei vuoti e interstizi – diventa foresta e, spontaneamente, consente lo sviluppo di forme antropiche e naturali. Questo è il nuovo regno della biodiversità.

 

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Il Giardino Verticale, da un punto di vista estetico si sogna una foresta-città, affrancata dal peccato originale della sfida contro la natura – il morso della mela – restituendo alle piante i manufatti architettonici, come le rocce si offrono ai muschi. E ogni modalità di sviluppo del verde verticale implica diverse intenzioni e immagina una città-foresta diversa. Nel bene e nel male se la città si è sviluppata in verticale anche il giardino la segue mostrandone i pregi ma insieme anche i molti limiti. Ci sono due idee fra loro opposte che sottendono al concetto di giardino verticale, due linee simboliche di pensiero che percorrerò entrambe per comprendere e non solo descrivere un fenomeno attualmente di grande successo:

  1. La prima rievoca le immagini della sfilata di moda messa in scena da David Byrne nel film True Stories, nella quale la canzone Wild wild life fa da cornice a modelli bizzarri tra i quali un soprabito in prato, una vera e propria pelliccia di prato. L’artista che ha curato le sfilata, Gene Pool, in altre occasioni ha poi rivestito di erba automobili e autobus, mettendo in discussione il principio fondamentale che le piante ci impongono, quello di essere immobili. Il verde portatile, pret a porter è rivoluzionario.
  2. La seconda mi riporta all’immagine del sottobosco tropicale, dove la natura si impadronisce di qualunque cosa stia fermo per un tempo nemmeno tanto lungo, rivestendolo e immobilizzandolo, inghiottendolo nella sua naturalità esuberante. Quindi radicando elementi mobili.

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Patrick Blanc propone le due immagini insieme, e non sono che le due facce di una stessa medaglia. Le sue pareti verdi, sono fantastiche perché liberano l’idea delle piante da quello del rapporto con la terra, è appunto un verde mobile. Consente di rivestire le nostre città di verde, risolvendo quel più o meno vago senso di colpa che abbiamo nei confronti della natura. Rispondendo al timore che la natura si vendichi e si riprenda lo spazio che le abbiamo tolto. C’è insomma tutta la condizione esistenziale/urbana del nostro tempo a motivare il successo dei muri vegetali.

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Come ricorda Fiorenzo Magagna, di Gea, tra i primi in Italia a realizzare pareti verdi, avendo collaborato all’allestimento del Cafè Trussardi a Milano, la tecnica deriva dalle nuove modalità di coltivazione delle piante in vivaio, in Olanda, dove la terra è sostituita da un feltro speciale.  In realtà, con il tempo poi le radici irrobustiranno il feltro realizzando una membrana fortissima. La fortuna poi di questa tecnica è che si tratta di un sistema chiuso, la gestione degli elementi nutritivi e dell’irrigazione è parte integrante del sistema parete. La ricerca di Blanc, partita dal foreste esotiche, stimola l’osservazione dei nostri territori, Fiorenzo Magagna ha selezionato diverse essenze autoctone da utilizzare, adatte al nostro clima. Spesso durante le passeggiate in montagna troviamo piante che crescono inverosimilmente sulla roccia, troviamo muschi e piante ospitate nelle fessure della roccia, …

Ancor più innovativa è poi la possibilità di portare tutto questo all’interno, fino al sottosuolo, nell’ombra, laddove la vegetazione è sempre stata bandita. Sono lampade speciali e la selezione di essenze abituate a fitti sottoboschi a consentire di rompere quest’ultimo tabù verde. Qui crescono piante tropicali, come del resto la maggior parte delle piante da interno, tutte provenienti dall’intimità della natura. Le piante, così concepite, consentono di progettare giardini interni con il ruolo di formare spazio, con pareti e non si limitino ad essere una collezione di soprammobili, di complementi d’arredo, rinnovando così il ruolo della vegetazione nell’interior design. (vedi Interni in verde, allestimento che ho realizzato realizzato a novembre 2007 in occasione della fiera BENéwellness expo, Vicenza).

Eravamo abituati ai rampicanti, tutte le città sono rivestite di verde in modo più o meno informale, più o meno spontaneo. Anche questo è giardino verticale. Non solo muri verdi, ma anche partizioni con gli elementi per esempio di Teracrea, le piante che si sviluppano in verticale aprono orizzonti per risolvere spazi ridotti, per consentire al verde di contaminare gli spazi abitati arricchendoli con la sua vitalità senza per questo imporre manutenzioni impegnative. Si tratta di un settore ancora da esplorare che riserva molte potenzialità. Quello che ha introdotto Blanc, tuttavia, è qualcosa di più di una trovata, ha inaugurato ufficialmente un nuovo punto di vista, ha posto una questione cruciale riguardante il nostro rapporto con la natura – radicata o portatile.

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Conferenza tenuta a Vicenza a Palazzo Valmarana Braga, il 23 maggio 2008, dal titolo dal titolo ”Il giardino verticale” nell’ambito della manifestazione: About Design Vicenza 2008, un’ esposizione che presenta designer e complementi per l’arredo contemporaneo. Relatori: Sophia Los architetto e dott. Fiorenzo Magagna, di Gea.

Articolo tratto da http://www.genitronsviluppo.com/2008/07/03/giardini-verticali-moda-segno-di-unepoca-o-simbolo-di-unarchitettura-sostenibile-possibile-da-patrick-blanc-con-sophia-los-alla-scoperta-del-nuovo-romanticismo/

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